domenica 18 luglio 2010

Fa caldo e la coscienza è a mollo


Scritto da Paolo Ferrari - Area Immigrazione delle Acli Nazionali
Insieme alle non notizie di questi giorni, come la calura estiva, i Tg hanno trasmesso il drammatico appello che arriva dal centro di detenzione di Braq, in Libia.
Domenica 4 luglio mentre i TG si affannavano a propinarci “non notizie” come la calura d’estate, e a darci consigli su come affrontare l’afa a qualcuno – speriamo – non sarà sfuggita una notizia vera,  il drammatico appello che giungeva alle nostre accaldate e assopite coscienze dal centro di detenzione di Braq vicino Sebah nel sud del deserto libico.

Lì 245 rifugiati eritrei in fuga da guerra e fame, prontamente riacciuffati dal nostro solerte collaboratore libico, si trovavano stipati in stanzoni senza finestre, privi di cibo e acqua, in attesa di rimpatrio e quindi indirizzati verso nuovo dolore e morte. Molti di quegli eritrei, soprattutto i più giovani, fuggono anche da un servizio militare a tempo indeterminato nel deserto della Dancalia. 

Per questo affrontano lunghe marce e vicissitudini di schiavitù e violenza, nel tentativo di approdare prima o poi (dopo magari un paio di anni di questa vita d’inferno) da qualche parte in Europa. Ma noi non li vogliamo proprio questi «clandestini» e così – anche mediante accordi con la Libia – abbiamo provveduto a organizzare una efficace pulizia del mare,finalmente “nostrum”, solo “nostrum”.Nell’assolata domenica italiana, tra code sull’autostrada e piedi a mollo nelle fontane delle città, chissà chi ha percepito l’appello per salvare la vita a questi poveracci. 

IL CIR, attraverso il suo Direttore Christopher Hein,   ha chiesto al Governo Italiano di trasferire e reinsediare i rifugiati in Italia ”e che una delegazione di Enti umanitari non politici sia ammessa ad una visita nel centro di Braq”. Il CIR si appella inoltre a tutte le autorità coinvolte affinché i rifugiati siano rassicurati che non saranno rimpatriati e che la prevista visita dell’Ambasciata Eritrea di Tripoli nel centro non comporti né la deportazione né rappresaglie contro i familiari dei rifugiati rimasti in Eritrea. 

Il Padre Giovanni La Manna che a Roma dirige il Centro Astalli per richiedenti asilo e rifugiati, in un intervista alla Radio Vaticana ammonisce che “le nostre coscienze non possono rimanere tranquille mentre accadono queste cose. Il silenzio fa passare tutto come una cosa normale, ma è tremendo. Le nostre coscienze si stanno macchiando di un peccato che rimarrà nella storia dell’umanità”. 

Ma – che volete –  fa caldo, troppo caldo

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