Pare un'ovvietà ma - specie di questi tempi - non è così.
Come ormai tutti sanno, per irrobustire la lotta senza quartiere alla clandestinità, in Italia all'art.12 del Testo Unico dell'Immigrazione è stato aggiunto un comma (il 5-bis) che avverte che "chiunque a titolo oneroso, al fine di trarre ingiusto profitto, dà alloggio ovvero cede, anche in locazione, un immobile ad uno straniero che sia privo di titolo di soggiorno al momento della stipula o del rinnovo del contratto di locazione, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni".
Ora si dà il caso che un cittadino italiano aveva subaffittato alcune camere ad immigrati irregolari chiedendo a ciascuno 50 euro al mese. La Corte d'appello - applicando la legge alla lettera - lo aveva condannato alla reclusione di tre mesi e a tremila euro di multa per aver così favorito la permanenza in Italia di 16 immigrati clandestini. Il nostro ha fatto ricorso e la Cassazione con sent. n. 27543 del 15 luglio, con un lampo di ritrovato buon senso, gli ha dato ragione. Ha infatti precisato che perché possa essere contestato il reato di favoreggiamento, non basta che l'imputato abbia favorito la permanenza nel territorio dello Stato di immigrati clandestini mettendo a loro disposizione alloggi in affitto, ma serve anche il dolo specifico, che in questo caso non esisteva perché non c'era l'obiettivo specifico di trarre un ingiusto profitto dallo stato di illegalità dei cittadini stranieri che si realizza invece quando vengono imposte ai clandestini condizioni particolarmente onerose.
In verità non sappiamo in che condizioni fossero i locali affittati agli stranieri e quali le vere intenzioni del proprietario, ma ci rallegra l'idea che qualche volta possa prevalere lo "spirito" sulla "lettera" della legge e addirittura che si possa essere accoglienti anche con gli irregolari senza per questo essere puniti. E - di questi tempi - non è davvero poco.
Scritto da Paolo Ferrari - Area Immigrazione delle Acli Nazionali
venerdì 23 luglio 2010
lunedì 19 luglio 2010
Libia: liberati gli eritrei detenuti, ora sono pero' prigionieri del deserto
I 205 senza documenti ne'soldi; Tripoli chiude centri immigrati
ROMA - Sono liberi i 205 profughi eritrei detenuti da 16 giorni nel carcere di Braq in Libia, ma per ora non sanno che farsene della liberta' concessa da Tripoli: senza documenti ne' soldi, cibo ne' acqua, non sanno dove dormire e sono bloccati nel cuore del deserto a Sebha, 800 chilometri da Tripoli, dove le autorita' libiche li hanno scaricati dopo la liberazione che considerano una 'farsa'. ''Giriamo per le strade come cani abbandonati'', ha raccontato uno di loro. E intanto la Libia annuncia di aver chiuso i centri di accoglienza per immigrati, mandando via tutti i detenuti. ''Nessuno ci ha detto nulla e nessuno ci ha offerto un rifugio o un aiuto. Non abbiamo soldi. Non sappiamo cosa fare. Abbiamo anche chiesto di poter dormire in una prigione ma ci hanno detto no e ci hanno lasciato per strada. Siamo lasciati soli e nessuno si interessa di noi'', ha raccontato uno dei profughi. Secondo quanto ha raccontato un altro degl eritri che e' riuscito a contattare un parente in Italia, alcuni di loro erano riusciti a nascondere pochi spiccioli nella prigione, e con quelli hanno mandato tre di loro a Tripoli a cercare una via d'uscita alla situazione in cui si trovano. Al momento si troverebbero in viaggio. Alcuni profughi hanno riferito anche di maltrattamenti subiti nei luoghi di detenzione. Altri di trovarsi in quelle condizioni dopo il respingimento in mare dall'Italia, a pochi chilometri da Lampedusa. Per la Libia, ''non esiste un caso eritrei'', secondo quanto ha detto all'ANSA l'ambasciatore libico in Italia, Hafed Gaddur. ''Da ieri non ci sono piu' in Libia centri di accoglienza per immigrati e tutti coloro che vi erano ospitati sono liberi, avranno documenti temporanei di riconoscimento e potranno reinserirsi nel tessuto sociale trovando lavoro e alloggio'', ha detto Gaddur, che ha definito ''propaganda'' le notizie secondo cui centinaia di profughi eritrei erano trattenuti in pesanti condizioni di detenzione. La Libia, ha spiegato, ha deciso che ''non si fara' piu' carico di dar da mangiare e da dormire gratis'' a migliaia di persone come ha fatto finora perche' ''per noi sono un peso''. Da parte sua la Farnesina ha espresso ''apprezzamento per il gesto positivo di disponibilita' delle autorita' libiche'', ha fatto sapere il portavoce Maurizio Massari, auspicando che ''le persone liberate possano trovare in Libia adeguate opportunita' di lavoro e vita''. Ma per il senatore radicale Marco Perduca, ''non sorprende la solita dimissione di responsabilita' dell'Italia ogni qual volta si presenti la necessita' di rispettare gli obblighi derivanti dall'aver ratificato la convenzione sui rifugiati''. Soddisfazione per l'epilogo della vicenda eritrei da parte del Consiglio Italiano per i Rifugiati (Cir): ''Siamo contenti perche' non era piu' possibile che continuassero a vivere nelle condizioni di detenzione cui erano costretti e perche' e' stato evitato il loro rimpatrio forzato in Eritrea'', si legge in una nota. (ANSA).
domenica 18 luglio 2010
Fa caldo e la coscienza è a mollo
Scritto da Paolo Ferrari - Area Immigrazione delle Acli Nazionali
Insieme alle non notizie di questi giorni, come la calura estiva, i Tg hanno trasmesso il drammatico appello che arriva dal centro di detenzione di Braq, in Libia.Domenica 4 luglio mentre i TG si affannavano a propinarci “non notizie” come la calura d’estate, e a darci consigli su come affrontare l’afa a qualcuno – speriamo – non sarà sfuggita una notizia vera, il drammatico appello che giungeva alle nostre accaldate e assopite coscienze dal centro di detenzione di Braq vicino Sebah nel sud del deserto libico.
Lì 245 rifugiati eritrei in fuga da guerra e fame, prontamente riacciuffati dal nostro solerte collaboratore libico, si trovavano stipati in stanzoni senza finestre, privi di cibo e acqua, in attesa di rimpatrio e quindi indirizzati verso nuovo dolore e morte. Molti di quegli eritrei, soprattutto i più giovani, fuggono anche da un servizio militare a tempo indeterminato nel deserto della Dancalia.
Per questo affrontano lunghe marce e vicissitudini di schiavitù e violenza, nel tentativo di approdare prima o poi (dopo magari un paio di anni di questa vita d’inferno) da qualche parte in Europa. Ma noi non li vogliamo proprio questi «clandestini» e così – anche mediante accordi con la Libia – abbiamo provveduto a organizzare una efficace pulizia del mare,finalmente “nostrum”, solo “nostrum”.Nell’assolata domenica italiana, tra code sull’autostrada e piedi a mollo nelle fontane delle città, chissà chi ha percepito l’appello per salvare la vita a questi poveracci.
IL CIR, attraverso il suo Direttore Christopher Hein, ha chiesto al Governo Italiano di trasferire e reinsediare i rifugiati in Italia ”e che una delegazione di Enti umanitari non politici sia ammessa ad una visita nel centro di Braq”. Il CIR si appella inoltre a tutte le autorità coinvolte affinché i rifugiati siano rassicurati che non saranno rimpatriati e che la prevista visita dell’Ambasciata Eritrea di Tripoli nel centro non comporti né la deportazione né rappresaglie contro i familiari dei rifugiati rimasti in Eritrea.
Il Padre Giovanni La Manna che a Roma dirige il Centro Astalli per richiedenti asilo e rifugiati, in un intervista alla Radio Vaticana ammonisce che “le nostre coscienze non possono rimanere tranquille mentre accadono queste cose. Il silenzio fa passare tutto come una cosa normale, ma è tremendo. Le nostre coscienze si stanno macchiando di un peccato che rimarrà nella storia dell’umanità”.
Ma – che volete – fa caldo, troppo caldo
venerdì 16 luglio 2010
Cittadini stranieri e vacanze estive
In occasione delle imminenti vacanze estive è opportuno ricordare le regole che disciplinano l’uscita ed il reingresso dei cittadini stranieri nel territorio italiano.
Si prospettano differenti situazioni.
A) Il cittadino straniero, titolare di un permesso di soggiorno in corso di validità, può tornare in patria e rientrare in Italia in qualunque momento dell’anno purché porti con sé il permesso di soggiorno e il passaporto. In quanto titolare di permesso di soggiorno può spostarsi per motivi di turismo, sino a un massimo di 90 giorni, senza necessità di chiedere visti, in tutti i Paesi Schengen1, mentre nel caso in cui si tratti di un Paese non Schengen, sarà necessario verificare se, in base agli accordi con il proprio Paese d’origine, va presentata richiesta di visto per visitarlo.
B) Il cittadino straniero, in attesa del rilascio del primo permesso di soggiorno per lavoro o ricongiungimento familiare o in ogni caso di un permesso di lunga durata o che abbia presentato richiesta di rinnovo, con l’entrata in vigore il 5 aprile 2010 del Regolamento UE n. 265/2010 del 25 marzo 2010, può entrare e soggiornare per periodi massimi di 90 giorni a semestre in tutti gli altri Paesi dell’Area Schengen , solo se in possesso di un visto di ingresso del tipo “Schengen Uniforme” per soggiorni di lunga durata (superiore ai 90 giorni) in corso di validità per tutta la durata del viaggio. Si deve esibire in tal caso alla polizia di frontiera il cedolino, il passaporto, e il visto rilasciato dal consolato che specifica il motivo del soggiorno in Italia.
C) Il cittadino straniero che sia in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno deve effettuare il viaggio verso il proprio Paese in maniera diretta in quanto il viaggio non deve prevedere il passaggio o scali in un Paese Schengen poiché non è riconosciuto dalla polizia di frontiera il cd. cedolino rilasciato da Poste Italiane s.p.a.; è in ogni caso necessario avere con sè la documentazione da presentare alla polizia di frontiera ( passaporto, permesso scaduto e ricevuta dell'ufficio postale).
Il diritto di uscita dall’ Italia e reingresso in Italia, con il cd. cedolino nelle more del rinnovo del permesso di soggiorno, è stato garantito da una direttiva del Ministero dell’Interno del 5 agosto 2006 e nelle successive precisazioni della Circolare del 9 agosto 2006.
Inoltre per rendere più semplici gli spostamenti, il Ministero dell’Interno, con la circolare dell’11 marzo 2009, ha stabilito che, a partire da suddetta data e senza data di scadenza, è possibile il rientro in Italia anche attraverso un valico di frontiera diverso da quello di uscita.
D) Le colf e le assistenti domiciliari, in attesa di essere convocate allo Sportello Unico per la regolarizzazione (effettuata nel settembre 2009), non potranno lasciare il territorio italiano per recarsi nei loro paesi di origine in quanto la ricevuta delle domanda di regolarizzazione non costituisce documento valido per attraversare la frontiera come chiarito dalla circolare del Ministero dell’Interno del 2 ottobre 2009. Si rammenta che i Consolati Italiani non rilasceranno Visto di reingresso nel caso in cui si sia usciti dall’Italia con la sola ricevuta delle domanda di regolarizzazione.
Solo successivamente alla firma del contratto di soggiorno e al rilascio del permesso di soggiorno sarà possibile recarsi nel proprio paese di origine .
Si prospettano differenti situazioni.
A) Il cittadino straniero, titolare di un permesso di soggiorno in corso di validità, può tornare in patria e rientrare in Italia in qualunque momento dell’anno purché porti con sé il permesso di soggiorno e il passaporto. In quanto titolare di permesso di soggiorno può spostarsi per motivi di turismo, sino a un massimo di 90 giorni, senza necessità di chiedere visti, in tutti i Paesi Schengen1, mentre nel caso in cui si tratti di un Paese non Schengen, sarà necessario verificare se, in base agli accordi con il proprio Paese d’origine, va presentata richiesta di visto per visitarlo.
B) Il cittadino straniero, in attesa del rilascio del primo permesso di soggiorno per lavoro o ricongiungimento familiare o in ogni caso di un permesso di lunga durata o che abbia presentato richiesta di rinnovo, con l’entrata in vigore il 5 aprile 2010 del Regolamento UE n. 265/2010 del 25 marzo 2010, può entrare e soggiornare per periodi massimi di 90 giorni a semestre in tutti gli altri Paesi dell’Area Schengen , solo se in possesso di un visto di ingresso del tipo “Schengen Uniforme” per soggiorni di lunga durata (superiore ai 90 giorni) in corso di validità per tutta la durata del viaggio. Si deve esibire in tal caso alla polizia di frontiera il cedolino, il passaporto, e il visto rilasciato dal consolato che specifica il motivo del soggiorno in Italia.
C) Il cittadino straniero che sia in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno deve effettuare il viaggio verso il proprio Paese in maniera diretta in quanto il viaggio non deve prevedere il passaggio o scali in un Paese Schengen poiché non è riconosciuto dalla polizia di frontiera il cd. cedolino rilasciato da Poste Italiane s.p.a.; è in ogni caso necessario avere con sè la documentazione da presentare alla polizia di frontiera ( passaporto, permesso scaduto e ricevuta dell'ufficio postale).
Il diritto di uscita dall’ Italia e reingresso in Italia, con il cd. cedolino nelle more del rinnovo del permesso di soggiorno, è stato garantito da una direttiva del Ministero dell’Interno del 5 agosto 2006 e nelle successive precisazioni della Circolare del 9 agosto 2006.
Inoltre per rendere più semplici gli spostamenti, il Ministero dell’Interno, con la circolare dell’11 marzo 2009, ha stabilito che, a partire da suddetta data e senza data di scadenza, è possibile il rientro in Italia anche attraverso un valico di frontiera diverso da quello di uscita.
D) Le colf e le assistenti domiciliari, in attesa di essere convocate allo Sportello Unico per la regolarizzazione (effettuata nel settembre 2009), non potranno lasciare il territorio italiano per recarsi nei loro paesi di origine in quanto la ricevuta delle domanda di regolarizzazione non costituisce documento valido per attraversare la frontiera come chiarito dalla circolare del Ministero dell’Interno del 2 ottobre 2009. Si rammenta che i Consolati Italiani non rilasceranno Visto di reingresso nel caso in cui si sia usciti dall’Italia con la sola ricevuta delle domanda di regolarizzazione.
Solo successivamente alla firma del contratto di soggiorno e al rilascio del permesso di soggiorno sarà possibile recarsi nel proprio paese di origine .
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