Inclusione
di Giovanna Di Pasquale
Includere, dal latino includere composto da in= dentro e claudere=chiudere. Quindi chiudere o serrar dentro.
Il significato etimologico della parola inclusione credo possa provocare, per molti di noi, una sorta di spaesamento se è vero che i trenta anni di integrazione scolastica in Italia vengono spesso definiti sotto il segno del passaggio dall’esclusione all’inclusione, cioè da una situazione connotata dalla separazione ad una di apertura e condivisione.
L’incertezza cognitiva è però una condizione mentale, che può rivelarsi feconda proprio quando la si usi fino in fondo, accettando il gioco di chiederci apertamente oggi quale è il senso dell’impegno per l’integrazione che tende verso una prospettiva inclusiva.
Impegno per l’integrazione, nella scuola ma non solo, che è stato ed è il lavoro quotidiano e costante di tante persone ed organizzazioni per realizzare pezzi concreti di una inclusione in cui è centrale l’idea che i migliori sostegni per una buona qualità di vita per tutti, non solo per le persone disabili, stiano nella rete sociale del contesto di vita reale.
Dall’inserimento all’integrazione verso l’inclusione: se queste tappe disegnano un passato contemporaneamente delineano un futuro; e questo pensiero verso il domani, a come si va avanti ci aiuta a ridisegnare costantemente il senso che attribuiamo alle parole perché possano essere punti di riferimento per le idee e le azioni.
Inclusione come processo in cui il “farsi carico” di elementi anche disorientanti e “sofferenti” si fa sociale. Come capacità delle istituzioni di accogliere e contenere in scambio reciproco e permanente con il contesto, l’ambiente e le risorse formali ed informali
Trenta anni fa si cominciò ad erodere la logica dell’istituzione totale a partire dallo smantellamento anche fisico di spazi e luoghi.
Certo non è bastato abbattere muri o aprire porte. Queste azioni, ancora forti nel loro aspetto simbolico, rimangono esemplari nel ricordarci che sempre, nei tempi lontani e vicini, la separazione non scelta, imposta è segno di negazione di identità, fino al limite del non riconoscimento di una comune matrice di umanità. Questo tipo di separazione ha i tratti della segregazione che riduce l’uomo, la donna ad una categoria da separare, da eliminare socialmente e anche fisicamente.“La disumanizzazione degli altri si avvale di particolari individuazioni di 'categorie': gli ebrei, gli zingari, gli arabi, i neri… ma anche i tossici, i disabili, i matti… Questo tipo di disumanizzazione permette di mantenere inalterata la propria autostima che può mantenere l’idea di sé come soggetto altruista”(1).
Vite separate, vite negate, numerosi gli esempi che nella storia e nella memoria di ognuno si fanno testimonianze di quanto labile sia il confine così tante volte varcato.
Inclusione come condizione per stare in presenza delle diversità presenti negli altri e in noi e farsi cambiare da questa convivenza. Vivere insieme, in un gruppo, la vita in classe significa poter sperimentare in prima persona la sostanza dell’apprendimento che è costruzione sociale (si impara con gli altri) e pluralità di modi e stili. Condividere ogni giorno con i propri compagni a scuola diversi modi di apprendere,constatare la varietà e la diversa misura delle competenze presenti non solo in un gruppo ma in ogni singola persona è un’opportunità insostituibile per apprendere in modo significativo cioè personale, durevole e trasferibile fuori dall’ambito scolastico. Gli alunni con disabilità sono per questo una risorsa per l’apprendimento di tutti gli alunni così come le strategie e le metodologie “speciali” sono una risorsa per l’apprendimento di tutti gli alunni proprio perché capaci di aumentare la personalizzazione e lo scambio fra competenze e saperi. In questo senso la qualità dell’integrazione a scuola è qualità della scuola.
Inclusione come costruzione di legami che riconoscono la specificità e la differenza di identità. La politica inclusiva ci interroga sempre sui confini della nostra storia e persona. "Inclusione - scrive Habermas - qui non significa accaparramento assimilatorio, né chiusura contro il diverso. Inclusione dell’altro significa piuttosto che i confini della comunità sono aperti a tutti: anche - e soprattutto - a coloro che sono reciprocamente estranei e che estranei vogliono rimanere" (2).
Non si tratta allora di far diventare l’altro come noi o di, all’opposto, rinunciarvi per sempre ma di costruire ponti fra le persone, le situazioni, le competenze. L’integrazione a scuola potenzia la dimensione inclusiva quando riesce a far intrecciare le voci di tutti gli interlocutori in un dialogo aperto, interprofessionale, caratteristiche queste alla base di ogni situazione educativa dove ogni persona, ogni ruolo porta il proprio contributo indispensabile e complementare.
(1) Andrea Canevaro, I soggetti dei processi di integrazione in: Handicap&Scuola n.130, novembre-dicembre 2006. Relazione per l’intitolazione di una scuola dell’infanzia a Sergio Neri in Pavone Canavese (To) il 20.10.2006.
(2) J. Habermas, L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politicaFeltrinelli , Milano, 1998
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